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il paradiso delle signore


— Se non l’ha ancora avuta, l’avrà... E non sarà mica il primo!

Anche lui guardava il Deloche; e in aria di sfida aggiunse:

— A chi piacciono gli ossi, con cinque franchi se ne può cavare la voglia!

Ma abbassò di scatto la testa: il Deloche, cedendo a un moto irresistibile, gli aveva gettato sul viso il suo ultimo bicchiere di vino, gridando:

— A te, sudicione, bugiardo! te l’avrei dovuto buttare ieri!

Fu uno scandalo. Alcune gocce erano schizzate su quelli accanto al Favier, che aveva avuti bagnati solo i capelli: il vino, lanciato con troppa forza, era caduto dall’altra parte della tavola. Ma tutti si riscaldavano. Andava a letto con lei, per difenderla cosí? Che razza di bestione! Ci volevano due schiaffi: cosí avrebbe imparato a vivere! Per fortuna, si avvicinava un ispettore, le voci si moderarono: non c’era bisogno di mettere la Direzione al corrente degli affari loro. Il Favier si contentò di sussurrare fra i denti:

— Se m’acchiappava, avreste visto che scena!

E la cosa andò a finire in scherzo.

Quando il Deloche, tremante ancora, volle bere per nascondere il suo turbamento, e afferrò macchinalmente il bicchiere vuoto, ci furono delle risate; ed egli, posando con atto goffo il bicchiere, si mise a succhiare daccapo le foglie di carciofo già rosicchiate.

— Passate la bottiglia al Deloche: ha sete! — disse tranquillamente il Mignot.

Le risa raddoppiarono. I commessi presero dei piatti puliti dalle pile che sorgevano sulla


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