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il paradiso delle signore

Club! Hanno preso una stanza da un vinaio in Via Sant’Onorato, e ci van tutti i sabati.

Parlava dei commessi della merceria. Dettero tutti in una risata: tra due bocconi facevano a chi le diceva piú grosse, con la bocca piena; e soltanto qualche ostinato leggitore di giornali stava qua e là col naso sul foglio, senza badare ad altro. Erano tutti d’accordo su questo, che ogni anno gl’impiegati nei magazzini si facevano piú eleganti: quasi una buona metà parlava ora l’inglese e il tedesco; schiamazzare nei balli pubblici, fischiare nei caffè le cantanti brutte, era passato di moda: erano una ventina d’accordo, mettevano su un circolo.

— E hanno un pianoforte come quelli delle tele? — chiese il Liénard.

— La Società del Gomitolo, il Gomitolo-Club, non ha un pianoforte? Lo credo che l’ha — rispose il Mignot. — E suonano, e cantano. Ce n’è perfino uno, quel cosettino del Bavoux, che legge ogni tanto dei versi.

Le risate raddoppiarono, canzonando il Bavoux: ma sotto quelle risate c’era una grande stima. Poi cominciarono a chiacchierare d’una commedia del Vaudeville, dove un commesso faceva una gran brutta figura; i piú se n’arrabbiavano. Altri si domandavano inquieti a che ora avrebbero potuto venir via, la sera, perché erano aspettati a passare la serata in case terze. E nella immensa sala, tra l’acciottolio sempre crescente dei piatti, si udivano da per tutto conversazioni di quella sorta. Per disperdere un po’ il puzzo di mangiare, che saliva dai cinquecento piatti, erano state aperte le finestre, e gli stoini abbassati ardevano nell’afa di agosto. Soffi infocati venivano su dalla via; riflessi gialli indo-


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