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sta da profeta, coi capelli e la barba lunghi, con certi occhi che di sotto ai sopraccigli irti pareva bucassero. Aveva un negozio di mazze e di ombrelli; li accomodava, e ne scolpiva da sé i manichi, per modo che nel quartiere s’era acquistata fama di artista. Dionisia diè un’occhiata alle vetrine nelle quali gli ombrelli e le mazze stavano in file simmetriche; poi alzò gli occhi, e restò meravigliata guardando la casa, una casaccia stretta tra il Paradiso delle signore e un gran casamento alla Luigi XIV, venuta su non si poteva dir come, in quello strettoio, uove i suoi due piani restavano soffocati. Se non l’avessero cosí sorretta a destra e a sinistra, sarebbe rovinata, ché già le lavagne del tetto, tutte sossopra e infracidite, e la facciata a due finestre piene di crepacci, mandavano lunghe macchie di umido sul legno mezzo roso del cartello.

— Sapete che ha scritto al padrone per comprare la casa? — disse il Bourras guardando fisso fisso il negoziante con i suoi occhi di siamma.

L’altro diventò anche piú livido e si strinse nelle spalle. Ci fu una pausa: quei due restavano in faccia l’uno all’altro, guardandosi serii.

— Finché uno ha denti in bocca... bisogna aspettarsele tutte, caro mio! — mormorò alla fine.

Allora il Bourras s’infuriò e scosse i capelli e la barba ondeggiante.

— Se la compri la casa, la pagherà quattro volte quel che vale!... Ma ve lo giuro io, finché avrò siato non ne toccherà un mattone. La mia scritta dura ancora dodici anni... si vedrà, si vedrà!

Una vera dichiarazione di guerra. Il Bourras si voltava verso il Paradiso delle signore che nes-


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