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giovinotto i magazzini nuovi, scambiò con lei una rapida occhiata. Poi lei si rimise a leggere attentamente, come se non l’avesse veduto.

— To’! Paolo! — esclamò a un tratto una voce dietro quei due.

Era il Mouret, che stava sorvegliando se le cose andavano a modo suo. Si strinsero la mano, e il Mouret domandò subito:

— La signora De Boves ci ha fatto l’onore di venire?

— Dio mio! no, e le è dispiaciuto molto, ma non si sente bene... Niente di grave, veh! — rispose il conte.

Ma finse di scorgere allora la Guibal; ed accorse, levandosi il cappello; il Mouret e il Vallagnosc si contentarono di salutarla cosí da lontano. Anche lei fingeva d’essere sorpresa. Paolo sorrise: ora capiva tutto! E raccontò sommessamente al Mouret come in Via Richelieu il conte, imbattutosi in lui, da principio avesse cercato di scappare, poi avesse voluto ad ogni costo trascinarlo al Paradiso col pretesto che non si poteva fare a meno di vedere anche quella mostra lí. Da un anno la signora gli spillava quanto piú danaro e divertimenti potesse, senza mai scrivere una riga, dandogli appuntamenti nei luoghi pubblici, nelle chiese, nei musei, nei magazzini, per mettersi d’accordo.

— A ogni appuntamento, — sussurrava il giovine — devono cambiare la camera. L’ultima volta era in giro per cose d’ufficio, e ogni due giorni scriveva alla moglie o da Blois, o da Libourn, o da Tarbes; ed io sono invece convinto d’averlo visto entrare in una certa pensione di Batignolles... Ma guardalo! com’è bello lí davanti a lei, con quella sostenutezza da uomo


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