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zola

sero pieni, ci fu nell’entrata una calca tale che bisognò chiamare le guardie di città perché facessero un po’ di largo sul marciapiede.Il Mouret ci aveva azzeccato: tutte le massaie, un reggimento intero di borghesi e di popolane, si buttavano sulle calíe, sugli scampoli, sugli scarti esposti quasi lí sulla strada. Mani alzate continuamente tastavano le stoffe appese all’entrata: un bordato a trentacinque centesimi, certa roba grigia in lana e cotone a quarantacinque centesimi, ma sopra tutto un orléans a trentotto centesimi, che devastava addirittura le borse povere. Era un urtare di spalle e di gomiti intorno alle ceste e agli scaffali, dove tutta la roba ribassata, trine a dieci centesimi, fiocchi a venticinque, elastici da calze a quindici, guanti di fil di scozia, sottane, colletti, cravatte, calze, calzini, sparivano da un momento all’altro come divorati dalla folla. Per quanto fosse freddo, i commessi, che vendevano esposti all’aria della strada, non lo sentivano. Una donna incinta urlava; due bambine furon quasi soffocate.

Per tutta la mattinata la calca divenne sempre piú fitta. Verso il tocco era tale, che la strada pareva barricata come in tempo di rivoluzione.

Mentre la De Boves e la sua Bianca stavano, senza saper risolversi, sul marciapiede di faccia, si fece loro innanzi la Marty con la Valentina.

— Eh! quanta gente! — disse la De Boves. — Là dentro si devono schiacciare... Io mi sentivo poco bene, non dovevo uscire; ma mi sono levata per prendere un po’ d’aria.

— Come me! — rispose l’altra. — Ho promesso a mio marito d’andare da sua sorella, a Montmartre... E nel passare mi son rammentata


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