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zola

causa la vincerò io, quando dovessi restare senza camicia!

Dionisia non doveva andar via dal Robineau che alla fine del mese. Aveva parlato col Mouret, e s’erano intesi su tutto. Una sera rientrava in casa, quando il Deloche, che stava ad aspettarla sotto un portone, la fermò. Era tutto contento; aveva saputo la grande notizia; tutti nel magazzino ne discorrevano, diceva lui. E le raccontò, gongolando, le chiacchiere delle sezioni.

— Che grinte che hanno quelle ragazze delle confezioni!

Poi interrompendosi:

— A proposito, vi ricordate di Clara? Pare che il padrone se la sia... Mi capite?...

Era divenuto rosso; lei, pallida, esclamò:

— Il signor Mouret!

— Bel gusto, non è vero? Pare un cavallo...

Almeno quell’altra della biancheria, che si prese l’anno innanzi, era carina. Ma già... contento lui, contenti tutti!

Dionisia salí in fretta le scale; quando fu nella sua cameretta, si sentí quasi svenire. Forse le aveva salite troppo lesta. Con i gomiti sulla finestra ebbe un’improvvisa visione di Valognes, della via deserta, del lastrico tutt’erba che vedeva dalla sua cameretta di bambina; e sentiva un gran bisogno di tornar laggiú, rifugiarsi nell’oblio e nella pace della provincia. Parigi la irritava; odiava il Paradiso delle signore; non riusciva a capire com’avesse potuto consentire a tornarvi. Certo l’aspettavano altri dolori: da quando aveva sentito le chiacchiere del Deloche, soffriva già d’un ignoto malessere. Allora, senza sapere il perché, uno scoppio di pianto l’obbligò a levarsi di lí. Pianse a lungo; sfoga-


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