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il paradiso delle signore


La domenica che i Lhomme pagarono la somma, vollero pranzare coi loro amici del Vecchio Elbeuf. Venne prima la signora Aurelia; bisognò aspettare il cassiere che giunse in ritardo, sbalordito da una mezza giornata di musica; Alberto aveva accettato l’invito, ma non si fece vedere. Fu una serata penosissima.

I Baudu, avvezzi a vivere senz’aria in fondo al loro salottino, rimasero male del trambusto che i Lhomme vi portarono con quel loro modo d’intendere la famiglia e il loro gusto per la vita libera. Genoveffa, offesa dai modi imperiali della signora Aurelia, non aperse bocca; il Colomban ammirava invece, rabbrividendo, la signora che regnava sulla sua Clara.

Prima d’andare a letto, la sera, il Baudu passeggiò un pezzo su e giú per la stanza. Non era freddo; faceva un umidiccio come quando si struggon le nevi. Fuori, sebbene le finestre fossero chiuse e le tende tirate, si sentivano mugghiare le macchine di faccia.

— Sai a che penso, Elisabetta? — disse alla fine alla moglie, ch’era già fra le lenzuola. — Penso che i Lhomme hanno un bel mettere da parte. Io non farei a baratto nemmeno... Hanno quattrini, lo so. La moglie ha raccontato, non è vero?, come quest’anno ha preso quasi ventimila franchi, e per questo ha potuto comprare la casa. Che m’importa? La casa non l’ho piú, ma almeno non vado a sonare il corno da una parte, mentre tu da quell’altra... No, no, non possono esser contenti!

Il dolore del sacrificio fatto era troppo vivo ancora, e non gli era passato il rancore contro quelli che gli avevan portato via il sogno di tutta la vita. Quando, nell’andar su e giú, arri-


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