Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/310


zola

grandito da quella luce lunare, divenuto sterminato e fantastico, formicolava di ombre nere, di operai che gridavano e si agitavano, e gittavano le ombre loro sul candore dell’intonaco nuovo.

Lo zio Baudu l’aveva detto: il piccolo commercio, delle strade accanto, era bell’e finito. Ogni nuova sezione messa su dal Paradiso faceva andare a capitomboli qualche negoziante giú di lí. La ruina cresceva; si sentivano già scricchiolare le case piú antiche. La Tatin, che vendeva biancheria nella galleria Choiseul, aveva dovuto fallire; il Quinette, guantaio, poteva durare, al piú, per altri sei mesi; il Bédoré e la sua sorella, che vendevano ogni sorta di maglie, stavano sempre ritti in Via Gaillon, soltanto perché davano fondo ai risparmi. E nuove rovine avrebbero tra poco seguito quelle già previste da un pezzo: la sezione degli oggetti parigini minacciava un chincagliere di Via San Rocco, il Deslisgnières, omaccione sanguigno; quella della mobilia danneggiava la ditta Piot e Rivoire, il cui magazzino dormiva nell’ombra della galleria Sant’Anna. Non mancava perfino chi temesse un colpo apoplettico per il chincagliere che dalla mattina alla sera era fuor di sé dalla rabbia, vedendo il Paradiso vendere i portamonete col trenta per cento di ribasso. Quei della mobilia, piú calmi, fingevano di canzonare i merciai che si mettevano a dar via tavole e armadi; ma gli avventori cominciavano già ad andarsene, e la nuova sezione era predestinata a un ottimo successo. Volere o no, bisognava piegare il capo: dopo quelli lí, degli altri dovevano buscarne; e non c’era piú nessuna ragione perché i commerci non ne toccassero, a uno per volta,


308