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zola

giurò il vecchio d’accettare. La guerra era impossibile; troppo potenti eran gli altri! Non poteva, senza essere pazzo, dare un calcio alla fortuna in quella maniera. Ma lui con la testa faceva segno di no. Fra nove anni sperava d’esser morto, e non trovarsi al caso. Da vivo non si sarebbe arreso mai; lo giurava levando i pugni al cielo e bestemmiando.

— Avete sentito, signor Baudu? — riprese a dire. La vostra nipote sta dalla loro; e me l’hanno mandata perché mi corrompa... In parola d’onore, è d’accordo con quei furfanti anche lei!

Lo zio fin allora aveva finto di non vedere Dionisia. Alzava la testa col moto da burbero che faceva sull’uscio della bottega ogni volta ch’ella passava. Ma a poco a poco si voltò, e la guardò. I labbroni gli tremavano.

— Lo so! — rispose a mezza voce.

E continuava a guardarla. Dionisia, cui scappava da piangere, si accorse che i dispiaceri l’avevano cambiato molto; egli forse pensava, col sordo rimorso di non averla aiutata, alla vita di miseria che aveva dovuto fare per un certo tempo. Poi la vista di Beppino addormentato sulla seggiola, tra il rumore della discussione, parve a un tratto commuoverlo.

— Dionisia, — diss’egli semplicemente — perché non vieni domani a mangiare un po’ di minestra col piccino?... Le mie donne m’hanno pregato d’invitarti, se mai ti trovavo.

Ella arrossi tutta e l’abbracciò. E quando il Baudu se n’andò, il Bourras, contento di quella riconciliazione, gli gridò dietro:


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