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il paradiso delle signore


— E sia! — rispose Dionisia, sorridendo anch’essa. — Farò l’ambasciata, ma non son punto sicura di riescire.

E tacquero daccapo. Con un’occhiata rapida, il Mouret aveva visto sulla cantonata di Via d’Algeri le finestre illuminate della Desforges che l’aspettava. E aveva data subito un’occhiata anche a Dionisia: nel pallor del crepuscolo la vedeva ora distintamente; c’era paragone fra lei ed Enrichetta? Perché dunque pigliarsela calda a quel modo? Un capriccio, questo suo, che non sapeva di nulla.

— Il bambino dev’essere stanco — aggiunse per dire qualcosa. — E rammentatevi che il magazzino è sempre pronto a riprendervi; siamo intesi? Basterà che picchiate, e non solo vi apriremo, ma vi daremo tutti i compensi che vorrete... Buona sera, signorina.

— Buona sera.

Subito che il Mouret se ne fu andato, Dionisia rientrò sotto gl’ippocastani, nel buio. Camminò per un pezzo senza saper dove andasse, fra gli enormi tronchi, col sangue che le era salito al viso, con la testa rimuginante idee confuse. Beppino, attaccato alla sua mano, allungava le gambe per poterle tener dietro. Se n’era dimenticata. E il piccino finí col dirle:

— Vai troppo lesta, mammuccia.

Allora Dionisia si mise a sedere sopra una panchina: e Beppino, stanco, le si addormentò sui ginocchi, stretto fra le braccia della sorella, che se lo serrava al petto di vergine, con gli occhi erranti in fondo alle tenebre. Quando, un’ora dopo, tornò pian piano con lui in Via della Michodière, aveva il solito tranquillo viso di ragazzina assennata.


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