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il paradiso delle signore

gonava, dentro di sé, a un coniglino bianco con le orecchie nere e gli occhi rossi.

— Ora su! disse finalmente il Baudu. — S’è chiacchierato abbastanza, noi: posto agli altri! — E dette il segnale d’alzarsi da tavola. — Perché c’è qualche cosa di piú, non vuol dir mica che s’abbia ad abusare di tutto...

La signora, quell’altro commesso e la ragaz za, vennero a mettersi a tavola. Dionisia restò di nuovo sola a sedere accanto alla porta, aspettando che lo zio la potesse condurre dal Vinçard.

Beppino faceva il chiasso ai suoi piedi; Gianni era tornato sull’uscio a guardar la gente. Per un’ora ella prese parte a ciò che le avveniva intorno. Di tanto in tanto entrava qualcuno; una signora, poi due altre: la bottega aveva sempre quell’odore di vecchiume, e quella mezza luce dove pareva che tutto l’antico commercio, tanto semplice e alla buona, piangesse per l’abbandono. Ma dall’altra parte della via, il Paradiso delle signore le destava assai piú curiosità, perché, traverso l’uscio aperto della bottega, ne vedeva le vetrine. Il cielo era sempre coperto, ma, per quanto la stagione fosse avanzata, l’aria era come addolcita di pioggia; e in quella luce bianca, in che il sole si diffondeva a polviscolo, il grande magazzino viveva nella foga della vendita.

Allora a Dionisia parve di trovarsi davanti a una macchina ad alta pressione che desse fremiti perfino alle vetrine. Non erano vetrine fredde come quella mattina: sembravano, ora, scaldate e vibranti per l’interno trepidamento. C’era gente a guardarle; delle donne stavan lí ferme di contro ai cristalli; una folla intera, brutale di cupidigia. E le stoffe in quella passione che


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