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pettinarsi. Qualche volta, nondimeno, andava a portando con sé Beppino e facendogli fare una spasso, non per piacere ma per ragionamento, bella camminata dalla parte di Neuilly: il gran divertimento che si prendevano era quello di bersi una tazza di latte da un contadino che li lasciava riposare un po’ nella corte. Gianni non ne voleva sapere: si faceva sempre piú desiderare, capitando un momento dalla sorella, di tanto in tanto, nei giorni di lavoro; poi scomparendo col pretesto d’altre visite. Non domandava piú denaro, ma aveva un aspetto di tanta malinconia, che la sorella, inquieta, aveva sempre pronti per lui cinque franchi: era quello il suo lusso.

— Cinque franchi! esclamava tutte le volte Gianni. — Per Diana! come sei buona!... Ci ho per l’appunto la moglie del cartolaio...

— Zitto! — interrompeva Dionisia. — Non me n’importa nulla di saperlo.

Ma egli credeva che intendesse con ciò accusarlo di vanterie.

— Quando ti dico ch’è la moglie d’un cartolaio!... Oh! un bel pezzo di sposa, te lo dico io!

Passaron tre mesi. Tornava la primavera, e Dionisia rifiutò di fare un’altra scampagnata con Paolina e il Baugé. Li trovava qualche volta in Via San Rocco, nell’uscire dal Robineau. Paolina, una sera ch’era sola, le confidò che forse avrebbe sposato l’amante: era lei che ancora esitava, perché al Paradiso non ce le vedevano di buon occhio le maritate. Questo disegno di matrimonio meravigliò Dionisia, che non seppe che cosa consigliare all’amica. Un giorno che il Colomban l’aveva fermata presso la Fontana per


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