Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/271


il paradiso delle signore

tra il fremito della gente che faceva ressa nel Paradiso delle signore; e, dalla mattina alla sera, era quello l’unico, eterno suo discorso. Un giorno, dovevano aver fatto un incasso spaventoso; alle sete non avevano certamente venduto per meno di diecimila franchi; un altro giorno, era invece tutto contento perché un acquazzone aveva tenuti lontani i clienti. E i piccoli rumori gli davan cosí argomento a chiacchiere infinite:

— Sentite? uno è cascato. Se lo rompessero tutti il fil delle reni!... Sentite, le ragazze si leticano. Meglio, meglio!... Li sentite gl’involti che cascano nel sotterraneo? È una cosa che fa stomaco!

Dio guardi se Dionisia rispondeva qualche cosa; si metteva allora a rammentarle amaramente il modo brutto col quale l’avevano mandata via, e la costringeva a raccontargli per la centesima volta quanto ella aveva sofferto, nei primi tempi; le stanzucce malsane, il vitto pessimo, la guerra mossale dagli impiegati: tutt’e due dalla mattina alla sera non facevano, cosí, che parlare del magazzino, e quasi ne respiravano l’aria di momento in momento.

— Datemelo! — ripeteva ardentemente Beppino, a mani tese.

La testa di cane era finita; e il Bourras ora fingeva di dargliela, ora la ritirava indietro, con fanciullesca allegria.

— Bada! ti morde!... Via, divertiti, e non lo rompere, se ti riesce.

Poi, riafferrato dal pensiero fisso, minacciava col pugno alzato la muraglia:

— Seguitate, seguitate pure, perché la casa caschi... Non l’avrete neanche se comprate tutto il quartiere!


269