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zola


— Per la casa non c’è pericolo. Parlavano di comprarla l’anno scorso, e ne davano ottantamila franchi, il doppio di quanto vale. Ma il padrone che era un fruttaiolo smesso, un volpone come loro, li ha fatti cantare senza stringere nulla. E poi hanno paura di me, perché sanno che io terrei anche piú duro... No! no! ci sono e ci resto! Nemmeno l’imperatore con tutti i suoi cannoni mi potrebbe fare andar via!

Dionisia non osava rifiatare, e seguitava a lavorare, mentre il vecchio, tra un colpo e l’altro di temperino, borbottava interrottamente: quello era il principio; avrebbe visto poi; aveva tanto in capo da poter spazzar via tutta la loro sezione degli ombrelli: e in fondo alla sua ostinazione si sentiva l’ira del piccolo negoziante, che è al tempo stesso operaio e lavora da sé, contro l’invadere delle merci volgari, degli oggetti da bazar.

Beppino riusciva intanto ad arrampicarsi sulle ginocchia del Bourras, e tendeva le mani impazienti verso la testa di cane:

— Dammelo!

— Subito, piccino mio! — rispondeva il vecchio, con la voce che a un tratto gli si raddolciva. — Ma gli occhi ancora non ce li ha, e bisogna farglieli!

Seguitando a scavare nel legno, si volgeva daccapo a Dionisia:

— Ma li sentite?... Si chetassero mai! Ciò che mi fa piú rabbia, è proprio questo sentirmeli sempre addosso, col maledetto rumore da strada ferrata.

Affermava, perfino, che la tavola gli ballava, e che tutta la bottega era scossa. Doveva passare le giornate senza un avventore, standosene


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