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zola


— Signore, ce l’ha una camera? — disse Dionisia, obbedendo a un consiglio dell’istinto.

Alzò gli occhioni imboscati nei cigli e fu sorpreso a vederla. Conosceva tutte quelle ragazze; e dopo aver data un’occhiata al vestituccio pulito e all’aspetto onesto di lei rispose:

— Non è per voi.

— Quanto costa? — ribatté Dionisia.

— Quindici franchi il mese.

Allora la volle vedere. Nella botteguccia, siccome lui seguitava a guardarla con aria meravigliata, raccontò come fosse venuta via dal magazzino e come volesse dar noia allo zio. Il vecchio, alla fine, cercò la chiave su un palchetto dello stanzino buio dietro la bottega, dove egli si faceva da mangiare e dormiva: una vetriata polverosa la divideva da una corte interna, larga appena due metri.

— Vado innanzi perché non caschiate — disse il Bourras nell’andito umido, che fiancheggiava la bottega.

Inciampò egli stesso nel primo scalino, e salí moltiplicando gli avvertimenti. Attenta! Il ferro per sorreggersi era lungo il muro; alla svoltata c’era un buco; qualche volta gl’inquilini lasciavano nel mezzo le cassette della spazzatura. Dionisia, in quella oscurità, non distingueva nulla, non sentiva che il fresco del vecchio intonaco stillante umidità. Ma al primo piano un finestrino che dava sulla corte le permise di scorgere, come nel fondo d’un’acqua dormiente, la scala sconquassata, le mura nere di sudiciume, le porte mal connesse e a colori.

— Se almeno ce ne fosse una vuota di queste stanza! — riprese il Bourras — ci stareste bene... Ma le hanno sempre delle signore.


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