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il paradiso delle signore

pranzo, dietro la bottega, chiamò il primo commesso che si faceva aspettare.

— Colomban!

Il giovane si scusò col dire che aveva voluto finire di mettere in ordine le flanelle. Era un pezzo di giovinotto di venticinque anni, grosso e colorito. Aveva una faccia onesta, bocca larga da buon diavolo, occhi furbi.

— Eh! santo Dio! c’è tempo per ogni cosa! — riprese il Baudu che, adagiandosi con tutti i suoi comodi, tagliava un pezzo di lesso freddo, con una prudenza e una bravura da padrone, pesando le fettine con un’occhiata, senza sbagliarle d’un grammo.

Serví tutti; affettò perfino il pane. Dionisia s’era messa accanto Beppino, perché mangiasse pulito e a modo. Ma quel salottino buio la turbava; lo guardava e si sentiva stringere il cuore, avvezza a quegli stanzoni, cosí nudi e cosí pieni d’aria e di luce, della sua provincia. Non c’era che una finestra; dava su un cortile interno in comunicazione con la strada per un andito buio; e quel cortile umido e fetido sembrava il fondo d’un pozzo dove cadesse un cerchio di luce pallida. L’inverno bisognava che nel salottino da pranzo tenessero acceso il gas dalla mattina alla sera. Quando il tempo permetteva di non accenderlo, era anche piú triste. Ci volle un po’ perché gli occhi di Dionisia si avvezzassero a distinguere abbastanza i bocconi nel piatto.

— Questo davvero non soffre di disappetenza! disse il Baudu, quando vide che Gianni aveva finita la carne. — Se lavora quanto mangia, diventerà un... Ma tu, figliuola mia, non


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