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il paradiso delle signore

subito alle sete; prima parve che andasse alle trine; vi fermò il Deloche e gli domandò qualche cosa; poi a pianterreno traversò le tele dipinte; e stava per entrare nella sezione delle cravatte, quando lo stupore la fermò di botto. Gianni le si parava di faccia.

— Ma come? perché sei venuto qui? — mormorò lei, impallidendo.

Gianni aveva il camiciotto da lavoro, era senza cappello, coi capelli biondi tutti arruffati, con qualche ricciolino sulla pelle da ragazza. Ritto innanzi a una mostra di cravatte nere, pareva che stesse meditando profondamente.

— Che ci fai qui? — domandò lei.

— To’! rispose — aspettavo!... Tu non vuoi che ci venga, e per questo son entrato, ma senza dir nulla a nessuno. Oh! puoi stare tranquilla! Fingi di non conoscermi; sei padrona.

Alcuni commessi cominciavano a guardarli curiosamente; Gianni abbassò la voce.

— E sai, m’ha voluto accompagnare proprio in persona. Già, è lí sulla piazza, accanto alla Fontana... Dammi lesta quindici franchi o siamo fritti, come è vero il sole!

Dionisia perse la testa: i commessi stavano a sentire e ridevano. Dietro la sezione, c’era un uscio che dava nel sotterraneo; l’aprí, vi spinse il fratello, e lo portò giú con sé. Gianni le ripeté la storiella, non trovando le parole e cercando i fatti, per paura di non esser creduto.

— I quattrini non son mica per lei! È onesta... E nemmeno per il marito; che gliene importa a lui di quindici franchi? Nemmeno un milione gli farebbe permettere che sua moglie... E un fabbricante di colla, te l’ho detto, eh? Stanno benissimo... No, no! Un birbaccione, un suo


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