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il paradiso delle signore


I mustacchi gli si mossero; una fiamma gli fece ardente il naso enorme, naso curvo, spugnoso, che rivelava bramosie da toro.

— Ma c’è verso di saperlo perché vi volete tanto bene voi due?

Dionisia non capiva, ma era turbata: le si avvicinava troppo e le parlava sul viso.

— È vero... si discorreva, signor Jouve, - balbettò lei — ma che male c’è a far due chiacchere?... Lei, però, è tanto buono con me, che la devo ringraziare egualmente.

— Non dovrei mai esser tanto buono. La giustizia!... vedete, la giustizia!... Ma quando una è carina come voi...

E si avvicinava ancora. Allora lei ebbe proprio paura. Ciò che le aveva detto Paolina le tornava in mente; si ricordava certe storielle che correvano di qualche ragazza che si comprava la benevolenza del Jouve, avendone paura. Nel magazzino, del resto, lui si contentava di poco: accarezzava con i suoi ditoni grassi le gote delle ragazze compiacenti, pigliava loro le mani e le teneva nelle sue quasi distrattamente. Erano, in fondo, cose paterne: al toro non dava la via che fuori, quando qualcuna accettava le fettine di pane col burro in casa di lui.

— Mi lasci andare! — mormoró la ragazza, dando indietro.

— Via via, non fate tanto la cattiva con me, che vi ho sempre dei riguardi!... Siate buona, venite stasera a inzuppare una fettina di pane in un po’ di tè. Alla buona, veh!

Ma lei ora si dibatteva.

— No! no!

La stanza era sempre vuota, il garzone non tornava piú.

Il Jouve, attento al rumore dei pas-


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