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zola

sto, in tutto il quartiere, glielo avrebbero trovato!

— O il Vinçard non cercava una che sapesse stare al banco? — disse Genoveffa.

— Sí, è vero! — esclamò il Baudu. — Ci andremo dopo colazione. Il ferro bisogna batterlo mentre è caldo.

Non capitò nemmeno un avventore a interrompere quei discorsi. La bottega restava nera e vuota. Nel fondo i due commessi e la ragazza continuavano a lavorare, con un mormorio e brusio di parole. Alla fine comparvero tre signore: Dionisia rimase sola per un momento; e col cuore angustiato dal pensiero della separazione vicina si affrettò a baciare Beppino che, carezzevole come un gatto, nascondeva la testa e non diceva una parola. Quando la signora Baudu e Genoveffa tornarono, lo trovarono quatto quatto, e Dionisia disse che non si sentiva mai; stava zitto giornate intere, vivendo di carezze. Fino all’ora di colazione non fecero che parlare di bambini, delle faccende di casa, della vita a Parigi e in provincia, a frasi corte e vaghe, come fra parenti un po’ imbrogliati dal non conoscersi bene. Gianni era andato sull’uscio della bottega e stava lí fermo, tutto attento alla gente che passava, e sorrideva alle belle ragazze.

Alle dieci una serva comparve. Di solito la tavola era apparecchiata per il Baudu, Genoveffa e il primo commesso: alle undici c’era una seconda tavolata per la signora, l’altro commesso e la ragazza.

— A tavola! — esclamò il negoziante, volgendosi alla nipote.

E quando furono a sedere nel salottino da


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