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il paradiso delle signore

sportello. Un cuoco in mezzo a due monti di piatti, con dei cucchiaioni che ficcava nei paioli di rame, distribuiva le porzioni. E quando si tirava un po’ da parte, si vedeva, dietro la sua pancia col grembiale, fiammeggiar la cucina.

— Bella roba! — sussurrò l’Hutin, dando una occhiata a una lavagna, sopra lo sportello, dov’era segnata la nota delle pietanze. — Manzo con la salsa piccante o razza, mai un po’ di arrosto in questa stamberga! Si resta con lo stomaco vuoto, con tutta la loro carne e tutto il loro pesce!

Del resto, il pesce nessuno lo voleva, e il recipiente restava pieno. Con tutto ciò il Favier scelse la razza. Dopo lui l’Hutin si chinò dicendo:

— Carne con salsa.

Quasi meccanicamente il cuoco infilzò un pezzetto di carne, e ci versò sopra una cucchiaiata di salsa. E l’Hutin, mezzo soffocato dall’avere avuto in viso il soffio ardente che veniva dallo sportello, se ne andava appena con la sua porzione, che già alle sue spalle sonavano come litanie le parole: «Carne con salsa piccante... carne con salsa piccante»; e il cuoco seguitava a infilzare pezzetti e versarvi la salsa sopra, col moto rapido e regolare d’un orologio.

— È fredda questa razza! — disse il Favier che non si sentiva scaldare la mano.

Seguitavano ora tutti a andare col braccio teso, il piatto in equilibrio, con una gran paura d’urtarsi. Dieci passi piú in là c’era un altro sportello con un banco di stagno lucido, dove stavano in ordine le boccette del vino, piccole, senza tappo, umide ancora dalla risciacquatura. E ciascuno nel passare riceveva la sua; poi sem-


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