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il paradiso delle signore

Ma i commessi, indifferenti, non ridevano nemmeno piú. Il Favier accompagnò la Boutarel alla merceria, e, tornato, disse all’Hutin:

— Ieri tutte alvergnati, oggi tutte provenzali... Non ne posso piú.

Ma l’Hutin si precipitò innanzi: toccava a lui quella volta, ed aveva riconosciuta la «bella signora», quella stupenda bionda che tutti designavano cosí nella sezione, non sapendo come si chiamasse. Le sorridevano tutti, e non passava una settimana ch’ella non capitasse al Paradiso sempre sola. Quel giorno aveva invece con sé un bambino di quattro o cinque anni. Ci fecero su mille discorsi.

— Dunque è maritata? — disse il Favier, quando l’Hutin tornò dalla cassa dove aveva condotta la signora a pagare trenta metri di raso.

— Può essere, — rispose l’Hutin — ma il bambino non prova nulla. Chi sa che non sia d’una sua amica?... Quel che è certo è che deve aver pianto... aveva certi occhi rossi ed era seria seria.

Per un momento stettero muti a guardare vagamente nella profondità del magazzino. Poi il Favier riprese con voce lenta:

— Se è maritata, chi sa che il marito non le abbia dato degli schiaffi!

— Chi lo sa? — rispose l’Hutin — o forse è un amante che l’ha piantata.

E conchiuse, dopo un’altra pausa:

— Io, per me, me ne infischio.

In quel punto Dionisia traversava la sezione, andando piú adagio, e guardandosi intorno per vedere se c’era il Robineau. Non lo vide, andò alla biancheria, e tornò indietro. Ma i due commessi s’erano accorti dell’astuzia.


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