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il paradiso delle signore


lettera che preannunziava il dramma; dopo ne eran venute due altre; nell’ultima, ch’ella terminava di leggere quando s’era imbattuta nella Paolina, Gianni le scriveva che si sarebbe ammazzato la sera medesima se non avesse avuto i quindici franchi. Dionisia non sapeva dove batter la testa: sulla pensione di Beppino non poteva prenderli, perché l’aveva già pagata da due giorni. Tutte le sfortune la perseguitavano; aveva sperato di riavere i suoi diciannove franchi rivolgendosi al Robineau che forse poteva rintracciare la donna delle cravatte, ma il Robineau, che aveva avuto un permesso di due settimane, non era tornato il giorno innanzi come avrebbe dovuto.

Paolina seguitava a muoverle domande da amica. Quando erano a quel modo insieme, in fondo a una sezione fuor di mano, discorrevano senza paura. Ma a un tratto Paolina fece come per scappare; aveva scorta la cravatta bianca d’un ispettore, che veniva dagli scialli.

— No, no! è il Jouve, — mormorò facendosi animo. — Non so che mai abbia quel vecchio; tutte le volte che ci vede insieme, si mette a ridere... se fossi in voi avrei paura; è troppo gentile con voi. Gran vecchiaccio maligno è quell’uomo! crede sempre di parlare ai suoi soldati!

Il Jouve era veramente odiato da tutti i commessi per la sua severità nel sorvegliare. Piú della metà dei licenziamenti era accaduta per colpa dei suoi rapporti. Quel nasone rosso, da vecchio capitano bontempone, s’arricciava da per tutto, tranne nelle sezioni delle donne.

— O perché dovrei aver paura? — domandò Dionisia.

— To’! — rispose Paolina ridendo — vorrà


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