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il paradiso delle signore

che la rimescolava tutta, senza una ragione al mondo. Qualcuno si mosse al primo piano; delle scarpe scricchiolarono; allora perdé la testa, e un uscio che dava sul magazzino e che laspinse sciavano aperto per le ronde di sorveglianza. Si trovò nella sezione delle tele dipinte.

— Dio mio! Che fare? — mormorò lei ad alta voce, commossa com’era.

Pensò che all’ultimo piano c’era un altro uscio che dava sulle stanze: ma bisognava traversare tutto il magazzino. Per quanto ci fosse dappertutto un gran buio, preferí far quella strada. Il gas era spento; non c’erano che dei lumi a olio qua e là attaccati ai bracci delle lumiere; e quelle luci sparse, simili a macchie gialle, e senza raggi, in tanta profondità delle tenebre, parevanoi lanternini che stanno nelle miniere. Grandi ombre fluttuavano; i mucchi delle mercanzie prendevano mal distinti aspetti da far paura, colonne rovinate, bestie accovacciate, ladri in agguato. Il silenzio pesante e rotto da lontani respiri, faceva apparire anche piú grandi le tenebre. Nondimeno riuscí ad orientarsi: la biancheria, a sinistra, somigliava nel suo candore a una fila di case sotto il cielo estivo; ed ella pensò allora di traversare subito la gran sala; ma inciampò in certi mucchi d’indiana, e le parve piú sicuro seguitare per i berretti e le lane. Quando fu là, sentí russare ed ebbe paura; era Giuseppe, il garzone che dormiva dietro la roba da lutto. Fu lesta a buttarsi nella sala che la vetriata rischiarava d’una luce crepuscolare: era piú grande, e piena del notturno terrore delle chiese, con quella immobilità degli scaffali e il profilo dei grandi metri che sembravano croci rovesciate. Cominciò addirittura a scappare. Al-


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