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il paradiso delle signore

si perdono sotto gli olmi, coperti dai rami, delle strade folte d’erba come i viali d’un parco. Intorno a loro la notte si faceva anche men folta: distinguevano i giunchi della riva, il contorno delle ombre che spiccava nero sul luccichio delle stelle, e nella pace che scendeva negli animi loro dimenticavano i dispiaceri, stretti insieme dalla comune sfortuna in un’amicizia da buoni compagni.

— Dunque? — domandò vivamente Paolina a Dionisia, tirandola da parte quando furono dinanzi alla stazione.

La giovinetta, al sorriso e al tono d’affettuosa curiosità, capí. Diventò rossa rossa:

— Ma no! Se vi ho detto che non volevo!... È del mio paese, si discorreva di Valognes.

Paolina e il Baugé restarono senza saper che pensarne, sentendo false le loro supposizioni. Il Deloche se n’andò, giunti che furono in piazza della Bastiglia: anche lui, come tutti i giovinotti «alla pari», dormiva nel magazzino, e vi doveva essere alle undici. Per non tornare con lui, Dionisia, che s’era fatta dare un permesso pel teatro, consentí ad accompagnare Paolina dal Baugé, il quale, per esser piú vicino alla sua bella, era venuto a star di casa in Via San Rocco. Presero un legno, e Dionisia stupí quando per la strada seppe che l’amica sua avrebbe passata la notte col giovinotto. Era una cosa da nulla: bastava dare cinque franchi alla Cabin; tutte le ragazze se n’approfittavano. Il Baugé fece gli onori della sua stanza ammobiliata con certa roba vecchia di stile Impero, che gli aveva mandata suo padre. Quando Dionisia volle fare i conti, andò sulle furie; poi finí coll’accettare i quindici franchi e sessanta, ch’ella aveva posati


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