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il paradiso delle signore

nuova sanità, una gioia smisurata dove entravano pur anche sensazioni nuove di birichina. Ma nel legno si voltò da un’altra parte, imbarazzata, quando Paolina si chinò per porre un bel bacio sulle labbra dell’amante.

— To’! — disse con la testa sempre alla portiera — guardate là il signor Lhomme... come cammina lesto!

— Ha con sé il suo corno, — soggiunse Paolina che s’era affacciata. — Lui sí, ch’è buffo; o non si direbbe che corre a un appuntamento?

Era proprio il Lhomme, che con l’astuccio dell’istrumento sotto al braccio se n’andava lesto lesto lungo il Teatro del Ginnasio, con la testa alta, ridendo fra sé al pensiero della contentezza che si riprometteva. Doveva certamente andare a passare la giornata da un suo amico, flauto d’un teatrino, dove, la domenica, alcuni dilettanti sonavano e sonavano musica da camera, dal caffè e latte alla cena.

— Alle otto! Quella è una mania! — ripigliò Paolina. — E sapete; la signora Aurelia e la sua cricca son dovute partire stamattina alle sei e venticinque col treno di Rambouillet... Marito e moglie oggi non s’incontrano di sicuro. Che famiglia!...

Tutt’e due si rimisero allora a discorrere della scampagnata a Rambouillet. La pioggia non la potevano augurare alle altre, perché c’era il caso d’essere inzuppate anche loro: ma se una nuvola avesse potuto rompersi laggiú, senza che gli schizzi arrivassero a Joinville, sarebbe stata proprio una cosa bella. Poi vennero a dire di Clara, che non sapeva come fare a buttar via tutti i quattrini dei suoi amanti: non s’era comprate tre paia di stivaletti, tanto per gittarli da


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