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che: s’era messo un cappellino vistoso, tutto penne; aveva gioielli al collo e alle mani; uno splendore da mercantessa infagottata. La domenica pigliava la rivincita di tutta la settimana ch’era costretta nella sezione a vestirsi di lana; mentre Dionisia, che trascinava la sua uniforme di seta dal lunedí al sabato, tornava la domenica alla povera lana della sua miseria.

— Ecco il Baugé — disse Paolina additando un pezzo di giovinotto accanto alla Fontana. Presentò il suo amante, e Dionisia si sentí subito senza soggezione, tanto le parve un buon uomo. Il Baugé, grande e grosso, forzuto come un bove che lentamente ara, aveva una facciona fiamminga in cui due occhi, che non dicevano nulla, ridevano con una puerilità da bambino. Nato a Dunkerque, figlio minore di un droghiere, era venuto a Parigi, quasi cacciato di casa dal babbo e dal fratello che lo credevano troppo stupido. Eppure nel suo magazzino egli si guadagnava tremilacinquecento franchi. Uno stupidone, sí, ma intelligentissimo in materia di tele. Alle donne pareva un bell’uomo.

— E il legno? — domandò Paolina.

Bisognò che andassero fino al boulevard. Il sole faceva già caldo; la bella mattinata di maggio splendeva sul lastrico delle vie. E nemmeno una nuvola in cielo: per l’aria azzurra e cristallina trasvolava un’allegria. Le labbra di Dionisia involontariamente si schiusero a un sorriso; respirava a pieni polmoni e le pareva che il petto si rifacesse d’un soffocamento di sei mesi. Finalmente non si sentiva piú addosso quell’aria pesante e le gravi pietre del Paradiso delle signore! Una giornata le stava dinanzi, da passarsi tutta in libera campagna! Ed era come una


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