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non si vedessero piú, da quando questa era entrata nel Paradiso delle signore. Sulle prime l’aveva creduto innamorato di Margherita, per quei suoi atteggiamenti da innamorato infelice; difatti Margherita, da brava ragazza, dormiva nel magazzino e stava sulle sue. Ma poco dopo, Dio sa come rimase quando si accorse che le occhiate ardenti erano proprio per Clara! Eran dei mesi che se n’era innamorato a quel modo, da una parte all’altra della strada, senza trovar mai il coraggio di dirglielo: e questo per una poco di buono che stava in Via Luigi il Grande, e ch’egli avrebbe potuto fermare tutte le sere prima che ella se n’andasse sempre a braccetto d’uno nuovo. La stessa Clara non pareva che si fosse accorta della sua conquista. Quando Dionisia ebbe scoperto la verità, restò dolorosamente commossa. Ma dunque l’amore era una cosa brutta a quel modo? Che stupidaggine! Un giovinotto aveva la felicità accanto e si guastava la vita adorando una ragazzaccia di quella sorta, come il santissimo sacramento? Da quel giorno tutte le volte che, dietro i vetri verdastri del Vecchio Elbeuf, vide il profilo pallido e malaticcio di Genoveffa, si sentí stringere il cuore.

Ogni sera Dionisia era assorta in questi pensieri, mentre vedeva le ragazze andarsene con gli amanti. Quelle che non dormivano nel Paradiso delle signore scomparivano fino alla mattina dopo, quando riportavano nel loro reparto l’odore di fuori come compenetrato con le sottane; incognito, indistinto, perturbatore. E la giovinetta doveva spesso rispondere con un sorriso al saluto amichevole che le rivolgeva, d’un moto del capo, Paolina, quando il Baugé l’aspettava, come faceva tutte le sere fin dalle otto e mezzo,


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