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zola

gliate qualcuno, starete meglio, molto meglio: ve lo dico io.

No — ripeté Dionisia.

— Avete torto... Prima di tutto non si può fare altrimenti, cara mia, e poi che c’è di male? S’è fatto tutte cosí. Io, per esempio, ero «alla pari»>, come voi. Nemmeno un centesimo. Vi danno, è vero, da mangiare e dormire, ma un po’ di «< toilette» ci vuole, e poi non si può mica stare sempre senza un soldo, tappata in camera a guardare le mosche che volano! E allora come si fa? Bisogna, Dio mio!, lasciarsi andare...

E parlò del suo primo amante, un giovane di studio che aveva conosciuto in una scampagnata, a Meudon. Dopo di lui, s’era messa con un impiegato alle poste. Dall’autunno in poi, per ultimo, se la intendeva con un commesso del Buon Mercato col quale passava tutte le ore di libertà. Ma non mai piú d’uno alla volta, veh!

Era onesta, lei, e si scandalizzava quando sentiva discorrere di quelle ragazze che si vendono al primo venuto.

— Io non vi dico mica di comportarvi male! — riprese con vivacità. — E non vorrei, per esempio, farmi veder per le strade con la vostra Clara, per paura che credessero che anch’io corra la cavallina come lei. Ma quando si sta per benino con uno solo, e non si ha niente da rimproverarsi... Vi pare male?

— No, rispose Dionisia: — ma a me non mi piace!

Ci fu un’altra pausa. Tutt’e due nella stanzetta gelida si sorridevano, commosse da quella conversazione a voce bassa.

— E poi bisognerebbe, per prima cosa, voler


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