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una volta entrata nei segreti del mestiere, ebbero tutte quasi uno stupore pieno di sdegno e s’intesero tra loro in modo da non lasciarle mai una cliente a garbo. Margherita e Clara la perseguitavano con un odio istintivo, stringendo le file per non essere messe sotto da quella nuova venuta che, nonostante i loro sdegni ostentati, temevano. La signora Aurelia, poi, non perdonava alla giovinetta di starsene cosí rimessa, di non pavoneggiarsi, di non guardarsi ogni momento, come le altre, di dietro e davanti; e l’abbandonava ai rancori delle proprie favorite, l’abbandonava a quelli della propria corte ch’era sempre inginocchiata innanzi a lei, intenta a gonfiarla d’una adulazione continua di cui, per vivere bene, l’indole sua tirannica aveva bisogno. Per un po’ parve che la vicedirettrice, la Frédéric, non entrasse nella congiura; ma doveva essere sbadataggine, perché ella si mostrò non meno dura delle altre non appena si fu accorta che quella sua benevolenza le poteva essere a carico. Allora l’abbandono fu universale; tutte dettero addosso alla «sciattona», e Dionisia dové durare in un combattimento che si rinnovava d’ora in ora, non riuscendo con tutto il suo coraggio che a farsi sí e no tollerare nella sezione.

Tale la sua vita. Bisognava che sorridesse, facesse la brava o la graziosa in un vestito di seta che non era suo; e moriva di fatica, mal nutrita, trattata male, sotto la continua minaccia d’essere licenziata. La sua cameretta era l’unico rifugio, il solo posto dove ella concedesse qualche volta uno sfogo alle lacrime, dopo che nella giornata aveva sofferto troppo. Ma dallo zinco del tetto coperto dalla neve di dicembre scende-


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