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il paradiso delle signore

la gran retata delle clienti; là avevan fatto piaz za pulita; vi si poteva passare liberamente; la sala restava vuota; tutta l’enorme provvista della «Parigi-Paradiso» era stata tagliata e portata via come da una tribú di cavallette devastatrici. E in mezzo a quel vuoto, l’Hutin e il Favier sfogliavano i loro libretti per le fatture, calcolando quanto venisse loro, ardenti ancora del combattimento. Il Favier aveva guadagnato quindici franchi: l’Hutin non aveva potuto arrivare che a tredici, sconfitto quel giorno e furibondo contro la cattiva fortuna. I loro occhi si accendevano della passione del guadagno: e tutto il magazzino lí intorno non faceva che sommar cifre, acceso dalla febbre stessa, nell’allegrezza brutale delle serate dopo le carneficine.

— Dunque, Bourdoncle, — esclamò il Mouret avete paura anche ora?

Era tornato al suo posto favorito, sull’alto della scala del mezzanino, appoggiato alla ringhiera: e dinanzi alla strage delle stoffe che gli si stendeva sotto, sorrideva da vincitore. I timori della mattina, quel momento d’imperdonabile debolezza che nessuno avrebbe saputo mai, gli facevano provare il bisogno d’un trionfo anche piú clamoroso. La guerra era vinta davvero, il commercio minuto del quartiere bell’e rovinato, il barone Hartmann conquistato con i suoi milioni e con i suoi terreni. Mentre guardava i cassieri che, curvi sui loro registri, tiravan via a far la somma di lunghe colonne di cifre, mentre ascoltava il tintinnio dell’oro che dalle loro dita cadeva nelle ciotole di rame, vedeva già il Paradiso delle signore ingrandirsi smisuratamente, allargare la sala centrale, prolungare le gallerie sino alla Via Dieci Dicembre.


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