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il paradiso delle signore

bamento di Dionisia. La strinse di nascosto, e si affrettò a sollevare sulle braccia un mucchio di mantelli, temendo di far dell’altro male e d’essere sgridata da capo, se sapevano che aveva un’amica.

La signora Aurelia intanto aveva posato con le sue proprie mani il mantello sulle spalle della Marty, ed esclamava: Bene! benissimo! sta a meraviglia! Pareva un altro. La Desforges sentenziò che non si poteva trovare di meglio. Si venne ai saluti, il Mouret si congedò, e il Vallagnose, che alle trine aveva viste le De Boves, corse ad offrire il braccio alla madre. Margherita, ritta dinanzi a una delle casse del magazzino, numerava le diverse compre della Marty, la quale pagò e comandò che le portassero l’involto nella carrozza. La Desforges aveva ritrovato tutta la sua roba alla Cassa Dieci. Poi le signore si rividero nel salotto orientale. Se n’andavano, ma non senza un altro infinito chiacchiericcio d’ammirazioni. La stessa Guibal si esaltava:

— Che bellezza!... che bellezza!

— Non è vero? pare un harem, un vero harem! E quei tappeti non son nemmeno cari!

— Quelli di Smirne, oh! quelli di Smirne! che colori, che eleganza!

— E quello del Kurdistan, ma guardate! un vero quadro del Delacroix.

La calca a poco per volta diminuiva. Delle scampanellate, con un’ora di intervallo, avevan già chiamato alle due prime tavolate della sera: stava per essere servita la terza, e nelle sezioni a mano a mano deserte non restavano piú se non clienti indugiatesi, che prese dalla febbre dello spendere dimenticavano anche l’ora. Di fuori non veniva altro rumore che delle ultime


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