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zola


— In che posso servirla?

Voleva un vestito che non costasse molto, ma forte. Il Liénard, che sempre badava a non stancarsi le braccia, e non aveva altro pensiero che quello, fece di tutto per farle prendere una delle stoffe che stavano bell’e spiegate sul banco:

casimirre, saie, vigogne. E giurava che non c’e ra nulla di meglio, e che, nemmeno a volere, quella roba lí si poteva consumarla. Ma nulla parve contentarla. In uno scaffale aveva notato un certo scozzese azzurro, e lo volle vedere; il Liénard si dové risolvere a metterlo giú. Le parve troppo rozzo. Passò allora alle diagonali, alle grisaglie, ai tessuti a spina, tutte diverse specie di lana ch’ella ebbe la curiosità di toccare, per divertimento, senza che poi le importasse molto di comprarne piuttosto una che un’altra. Il giovane dové cosí votare i palchetti piú alti: le spalle gli scricchiolavano; il banco non si vedeva piú, sotto la quasi serica grana delle casi mirre e delle popelines, sotto il pelo ruvido delle cheviottes, sotto la molle peluria delle vigogne. Tutti i tessuti e tutte le tinte le passarono a mano a mano sotto gli occhi. Si fece perfino mostrare, senza avere, al solito, nessuna voglia di comprare, della grenadine e della gaze di Chambéry. Poi, quando n’ebbe abbastanza:

— Oh! Dio mio! — disse — la prima è sempre la meglio. Tanto è per la mia cuoca... Sí, quella saia a puntolini, quella da due franchi.

E quando il Liénard, livido di collera ringozzata, ebbe misurato:

— Abbiate la compiacenza di portarla alla Cassa Dieci, per la signora Desforges — ordinò.

In quel mentre, nell’andarsene, vide accanto a sé la signora Marty con la sua Valentina, un


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