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il paradiso delle signore

gli uomini; perché tutt’e due ostentavano d’intendersela con le clienti. Non avrebbero, del resto, potuto vantarsi di nessun successo vero; il Mignot tirava innanzi sulla leggenda della moglie d’un commissario di polizia che s’era innamorata di lui; l’Hutin aveva in realtà conquistata una nastraia, stanca di girare per tutte le camere ammobiliate del quartiere. Ma mentivano, e lasciavano volentieri che gli altri credesseto a misteriose avventure, ad appuntamenti dati, tra una compra e l’altra, da qualche contessa.

— Quella lí mi ci vorrebbe! — disse il Favier con la sua aria agrodolce.

— Proprio! — esclamò l’Hutin. — Se vien qui, me la pappo io; ho bisogno di cinque franchi!

Alla sezione dei guanti, tutta una fila di signore stavan sedute dinanzi allo stretto banco coperto di velluto verde con gli orli di metallo ossidato: e i commessi, sorridenti, ammucchiavano davanti a loro le scatole basse, d’un rosa acceso, che tiravano di sotto al banco stesso. Il Mignot, piú di tutti, piegava la sua graziosa figura da bambola, e dava tenere inflessioni alla sua voce grossastra di parigino.

Aveva già venduto alla Desforges una dozzina di paia di guanti di capretto, sei bianchi, sei di tinte chiare, guanti «Paradiso», la «specialità » del magazzino. Ed ora lei si faceva provare dei guanti di Sassonia, temendo non le stessero bene.

— Ma benissimo, signora! — ripeteva il Mignot. — Il sei e un quarto sarebbe troppo grande per una mano come la sua!

Curvo sul banco le teneva la mano, prendeva ad uno ad uno i diti, li faceva entrare nel guan-


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