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Era ancor sempre un po’ inquieto. La gente veniva; ma la vendita sarebbe poi stata quel trionfo ch’egli aveva sperato? Eppure rideva con Paolo, e se lo portò via allegramente.

— Sembra che le cose si mettano ora meno male! — disse l’Hutin al Favier. Ma io non ho fortuna: ci son certe giornate, in parola d’onore... O che non ho fatto fiasco un’altra volta? Quell’accidente là non mi ha comprato nulla.

E con l’alzare il mento, indicò una signora che se n’andava dando occhiate sprezzanti a tutte le stoffe. C’era proprio da ingrassare con i mille franchi di stipendio! per solito, di giorno in giorno, si beccava sei o sette franchi del tanto per cento; e cosí col fisso arrivava in media a una diecina di franchi. Il Favier non arrivava a buscarne otto: ed ecco che quel ciuco gli rubava i bocconi migliori, perché aveva in quel punto venduto un vestito. Una tinca fredda non mai capace di far sorridere una cliente! Era una disperazione.

— I berrettai e i gomitolai pare che facciano affari! mormorò il Favier, parlando dei venditori di berrette e di mercerie.

Ma l’Hutin, che con lo sguardo frugava tutto il magazzino, disse bruscamente:

— La conoscete la signora Desforges, l’amante del padrone?... Eccola là; quella bruna che si fa calzare i guanti dal Mignot.

Si chetò, poi soggiunse a voce bassa, come se parlasse al Mignot, cui non levava gli occhi d’addosso:

— Striscia, striscia, mi raccomando, mio bel cosino! Le conosco le tue conquiste! Non si va piú là delle dita!

Tra lui e il guantaio c’era una rivalità di be-


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