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magazzino scoppiasse e gettasse il suo soverchio sulla strada.

Dello zio Baudu se n’erano bell’e scordati. Beppino stesso, che non lasciava la mano della sorella, spalancava gli occhi. Una carrozza li obbligò tutt’e tre a tirarsi da parte e uscire di mezzo alla piazza; e senza pensarci, presero la Via Nuova di Sant’Agostino, lungo le vetrine, fermandosi ad ogni passo.

Sul bel principio furono attratti da un ingegnoso apparato; in cima, degli ombrelli, disposti obliquamente, sembrava formassero un tetto da capanna rustica; sotto, delle calze di seta pendenti giú da ferri, mostravano il profilo curvo dei polpacci, alcune punteggiate da mazzolini di rose, altre di tutte le sfumature: le nere traforate, le rosse ricamate ai lati, quelle color carne cosí molli da aver la dolcezza della pelle d’una bionda; finalmente, nel fondo, gittati in simmetria, dei guanti, coi loro diti allungati, il palmo stretto da vergine bizantina, e con quella grazia stecchita e quasi adolescente che ha la veste delle donne prima che sia portata. Ma l’ultima vetrina li trattenne piú delle altre. Una vera esposizione di sete, di rasi e di velluti, ostentava con una gradazione molle e vibrante i toni piú delicati dei fiori: in cima, i velluti d’un nero cupo, d’un bianco di latte accagliato; piú giú, i rasi color di rosa, azzurri, dai tratti vivaci, scolorantisi in pallori d’una dolcezza infinita; piú giú ancora, le sete, tutto il giro dell’arcobaleno, pezze rialzate a sbuffi, spiegate come attorno ad una vita slanciata, divenute vive sotto i diti esperti dei commessi: e tra un motivo e l’altro, tra una frase e l’altra dei colori della mostra, correva un accompagnamento discreto, un leg-


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