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il paradiso delle signore

dere gli armadi e andarsene. La predizione faceva oscurare il viso volgare di Margherita, cupidissima del guadagno; Clara, invece, la cavalla scappata, pensava già a una bella gita nel bosco di Verrières, dato che il magazzino andasse a rotoli. La bella signora Aurelia, poi, muta, grave, passeggiava per la vuota sezione con suo volto da Cesare, come un generale che ha la sua parte di responsabilità nella vittoria o nella sconfitta.

Verso le undici entrarono alcune signore. La volta di Dionisia stava per venire, ed ecco apparve una cliente.

— Quella provincialona, figliuole, — mormorò Margherita.

Era una donna sui quarantacinque anni, che di tanto in tanto veniva a Parigi da qualche lontano dipartimento. Durava dei mesi a metter da parte soldi; poi, scesa dal treno, piombava subito al Paradiso, e si votava le tasche. Di rado scriveva; perché voleva vedere da sé, voleva toccare da sé le mercanzie; e faceva a Parigi perfino delle provviste d’aghi, perché, diceva lei, nella sua cittaduzza costavano un occhio. La conoscevano tutti, nel magazzino; sapevano che si chiamava la signora Boutarel e che stava ad Albi; senza, del resto, che importasse a nessuno saper chi era né se aveva denari.

— Sta bene, signora? — domandò garbatamente la signora Aurelia che se l’era fatta innanzi. — Che cosa desidera? Siamo subito da lei!

Poi, volgendosi:

— Signorine...

Dionisia si avvicinava, ma Clara s’era precipitata. Di solito era infingarda, poco importandole del denaro, perché fuori ne guadagnava di


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