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tutte aspettavano impazienti di vedere com’ella avrebbe incominciato, temperò il lapis, tanto per far qualche cosa; poi, imitando le altre, se lo mise tra un bottone e l’altro sul petto. Si faceva coraggio da sé: bisognava che il suo posto se lo conquistasse. Le avevano detto, il giorno innanzi, ch’ella entrava «alla pari», vale a dire senza stipendio fisso; avrebbe avuto solamente il tanto per cento sulle vendite. Ma sperava d’arrivare anche così a milleduecento franchi, perché sapeva che quelle brave ne buscavano fino a duemila, per poco che ci si mettessero sul serio. Aveva già fatto i conti; con cento franchi al mese avrebbe potuto pagare la pensione di Beppino, mantenere Gianni che ancora non guadagnava un soldo, e mangiare lei stessa, e comprarsi un po’ di biancheria, e qualche vestito. Ma per intascare quel tanto, bisognava che si mostrasse forte e laboriosa, senza mai prendersela dei dispetti che le venissero fatti; bisognava che combattesse e strappasse la sua parte alle compagne, se gliela negavano. Mentre cosí s’incitava alla lotta, un giovanotto che passava le sorrise; e quando ella ebbe riconosciuto il Deloche, che il giorno innanzi era entrato nella sezione delle trine, gli fece un sorriso anche lei, contenta dell’amicizia che aveva trovato, e pigliando il saluto per un buon augurio.

Alle nove e mezzo la campanella aveva sonato per la colazione della prima tavolata; poi sonò per la seconda. E le clienti non venivano ancora. La vicedirettrice, la signora Frédéric, che nella sua annoiata rigidità di vedova si divertiva pensando a un disastro, giurava con frasi secche che ormai la giornata era bell’e ita: non sarebbe venuto nemmeno un cane: tant’era chiu-


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