Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/125


il paradiso delle signore

indicare un disegno. Ma in quella molle voluttà del crepuscolo, in mezzo a quel profumo che saliva caldo dalle loro spalle, egli era sempre signore di sé e di tutte, sotto quell’aria d’ammirazione che sapeva fingere cosí bene. Pareva anch’egli una donna; e le donne si sentivano vinte e prese da quel senso delicato ch’egli aveva dell’intimo loro, e, sedotte, si abbandonavano. Certo di averle a sua posta, il Mouret spadroneggiava brutalmente, come se fosse un re dispotico degli stracci delle signore.

— Oh, signor Mouret! oh, signor Mouret! — balbettavano sommessamente le voci in fondo alle tenebre della sala.

L’ultimo chiarore del cielo si estingueva negli ornamenti dei mobili; soltanto le trine avevano ancora quasi un riflesso di neve sui ginocchi delle signore, che in un gruppo confuso, di cui Mouret era il centro, parevano altrettante devote inginocchiate dintorno a lui. Un po’ di luce splendeva ancora sul bricco, una luce corta e viva da lume da notte, ardente, in un’alcova resa tiepida dai profumi del tè. Ma il servitore entrò con due lumi, e l’incantesimo fu rotto. La sala apparve, lucente, gaia. La Marty riponeva le trine in fondo alla borsetta; la De Boves mangiava un biscottino, e l’Enrichetta, che s’era alzata, discorreva a voce bassa col barone nel vano d’una finestra.

— È simpatico disse il barone.

— Non è vero? — le scappò detto in un’esclamazione involontaria di donna innamorata.

Egli sorrise e la guardò con indulgenza paterna. Era la prima volta che la vedeva innamorata cosí, e non essendo uomo da aversene per male o da patirci, provava soltanto compassione


123