Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/117


il paradiso delle signore


Fu accolto in trionfo. Dové farsi piú innanzi; le signore gli fecero posto tra loro.

Il sole era tramontato dietro gli alberi del giardino; cadeva il giorno; un’ombra leggiera invadeva a poco a poco la stanza. Era la tenera ora del crepuscolo; quel minuto di discreta voluttà che han gli appartamenti parigini tra la luce della via che vien meno e i lumi che già i servitori accendono nelle stanze di servizio. Il De Boves e il Vallagnosc, sempre ritti nel vano d’una finestra; il signor Marty, entrato zitto zitto in quel punto, mostrava il suo profilo magro, un paltoncino misero ma pulito, un viso fatto livido dal tanto insegnare, e sconvolto ora anche piú da quei discorsi che le signore facevano sui vestiti.

— Dunque, si apre proprio lunedi questa vendita? domandava appunto allora la signora Marty.

— Sicuro, signora — rispose il Mouret con voce flautata e da attore, come aveva quando parlava a donne.

L’Enrichetta ci mise bocca:

— Ci saremo tutte... dicono che prepariate cose meravigliose.

Meravigliose poi! — mormorò con aria — di modesta vanagloria — io non faccio che cercare in ogni maniera di meritarmi le vostre lodi.

Ma le signore lo incalzavano di domande. La Bourdelais, la Guibal, Bianca stessa, volevan saperne di piú.

— Via! dateci qualche particolare! ripeteva insistente la signora De Boves. — Non ci fate morire cosí!

E lo circondavano, quando l’Enrichetta osservò ch’egli non aveva preso nemmeno una


115