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il paradiso delle signore

dita col lusso delle vetrine. Avevano svegliati in lei desideri nuovi, con una tentazione immensa cui essa soccombeva fatalmente, cedendo da principio alle compre necessarie, poi vinta dalla civetteria, poi divorata. Facendo dieci volte maggiore la vendita, democratizzando il lusso, divenivano un terribile incitamento alle spese: buttavano all’aria le famiglie, eccitavano la pazzia della moda, sempre più costosa. E se la donna nei magazzini regnava, adulata e accarezzata nelle sue debolezze, circondata di cortesie, era una dolce regina di cui i sudditi fan mercato e che paga con una goccia di sangue ciascuno dei capricci suoi. Dalla grazia della sua galanteria, il Mouret lasciava cosí trasparire le brutalità d’un mezzano che venda la donna a un tanto la libbra; le innalzava un tempio, la faceva incensare da una legione di commessi, inventava il rito d’un culto nuovo; non pensava che a lei, cercando, senza mai requie, seduzioni piú forti; e dopo, quando le aveva ben bene votate le tasche e sconquassati i nervi, era pieno del segreto disprezzo che l’uomo ha per un’amante quando lei ha fatta la sciocchezza di darglisi.

— Abbiate dalla vostra le donne, — disse con voce bassa al barone, ridendo audacemente — e venderete il mondo!

Oramai il barone aveva capito. Gli erano bastate poche frasi per indovinare il resto, e uno sfruttamento fatto con tanta galanteria lo infiammava e ravvivava in lui i suoi begli anni di epicureo. Strizzava gli occhi accennando di avere, come si dice, mangiato la foglia, e guardava ammirato l’inventore di quella macchina per divorare le donne. Era davvero una bella trovata!


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