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il paradiso delle signore

mantello; si rivestiva; s’imbatteva in qualche cosa che non s’aspettava, e doveva cedere al bisogno dell’inutile e del grazioso. Poi esaltò i prezzi fissi. La grande rivoluzione delle novità dipendeva dal prezzo fisso. Il vecchio cio, il commercio minuto, dava l’ultimo respiro perché appunto non poteva sostenere la guerra dei prezzi bassi mossagli dal cartellino in numeri chiari e lampanti. La concorrenza avveniva sotto gli occhi stessi del pubblico; chiunque pas seggiasse davanti alle vetrine sapeva i prezzi della tal cosa o della tal altra: bisognava che tutti i magazzini ribassassero e si contentassero del guadagno piú piccolo possibile: nessun inganno, non piú retate preparate da tempo su una stoffa venduta al doppio di quanto vale, ma affari correnti, un tanto per cento fisso su tutte le merci: il guadagno posto nel buon procedere d’una larghissima vendita cui giovava l’esser fatta all’aperto, senza misteri.

Non era una stupenda invenzione? Metteva sossopra il mercato, trasformava Parigi, perché era fatta con la carne e col sangue della donna.

— Ho la donna, io! m’infischio del resto! — disse in una confessione brutale che gli fu strappata dal fervore col quale parlava.

A quel grido il barone Hartmann parve scosso. Il suo sorriso perdeva la sottil punta d’ironia: e vinto a poco a poco da quella fede, guardava il giovinotto, verso il quale cominciava a sentire affetto.

— Zitto! — gli sussurrò paternamente. — Se no, vi sentono.

Ma le signore parlavano tutt’assieme, e s’erano tanto infatuate che non stavano nemmeno a sentire. La signora De Boves finiva la descrizio-


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