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gna vendere, però: ed io vi chiedo daccapo a chi venderete: come potete sperare di tener viva una vendita cosí enorme?

Uno scoppio di voci che venne dalla sala interruppe le spiegazioni del Mouret. Era la Guibal, la quale diceva che le gale di trina antica d’Alençon le sarebbero piaciute di piú messe soltanto a grembiale.

— Ma, cara mia, — diceva la De Boves — anche il davanti è tutto trine. Un vestito cosí ricco non l’ho visto mai.

— Oh! mi suggerite una cosa — ripigliava la Desforges. — Ho qualche metro di trina d’Alençon... Bisogna che ne compri dell’altra per fare una guarnizione.

E le voci si smorzarono in un tenue mormorio, nel quale sembrava passassero carezze tiepide e voluttuose. Ogni poco si sentiva: «costa tanto... costa meno»: pareva sfogliassero il dizionario dei magazzini: i desideri si aguzzavano; le signore compravano trine a piene mani.

— Eh! — disse finalmente il Mouret, quando poté parlare. — Pur di saper vendere, si vende quel che si vuole! La nostra vittoria sta lí.

Allora, col suo brio da meridionale, in frasi calde che suscitavano le immagini delle cose, mostrò il nuovo commercio nella furia del lavoro.

Disse dapprima della potenza decuplicata dal continuo rifornimento; tutte le mercanzie accumulate in un punto solo, sorreggendosi a vicenda e a vicenda raccomandandosi; non un momento di riposo, la roba di stagione sempre pronta; e da banco a banco la compratrice era presa, e qua voleva stoffa, piú in là filo, altrove


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