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il paradiso delle signore

per le tre finestre con un polviscolo d’oro, che avvivava il broccatello e gli ornamenti dorati dei mobili.

— Di qui, caro barone! —

diceva la signora Desforges. — Vi presento il signor Ottavio Mouret, che ha vivissimo desiderio di attestarvi la sua grande ammirazione.

E, volgendosi ad Ottavio, aggiunse:

— Il barone Hartmann.

Un sorriso increspò argutamente le labbra del vecchio. Era un ometto rubizzo con una grossa testa alsaziana, e un viso paffuto che si accendeva per la fiamma dell’intelligenza al minimo increspar della bocca o batter degli occhi. Da quindici giorni si schermiva dall’Enrichetta che gli chiedeva quell’abboccamento; non perché sentisse una gran gelosia, rassegnato com’era, da uomo di spirito, alla parte di padre; ma perché era quello il terzo amico di cui l’Enrichetta gli faceva fare la conoscenza, e alla lunga temeva un po’ di diventare ridicolo. Per questo, dinanzi a Ottavio, prese il sorriso discreto d’un protettore ricco che, se consente a mostrarsi cortese, non vuole però essere gabbato.

— Oh! — diceva il Mouret col suo entusiasmo da provenzale che operazione è stata quest’ultima del Credito Fondiario! Non le posso dire quanto son contento e orgoglioso di stringerle la mano.

— Troppo buono, troppo buono! — badava a ripetere il barone, sempre sorridendo.

Enrichetta lo guardava con i suoi occhi limpidi; senza imbarazzo. Restava in mezzo a loro, alzava la testolina graziosa, andava dall’uno all’altro; e nella sua veste di trina, donde uscivano i polsi e il collo delicati, pareva fuor di sé


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