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il paradiso delle signore

to d’essere a riposo nella pubblica amministrazione.

Danari pochi o punti; la signora De Boves non aveva portato al marito che la sua bellezza da Giunone; e la famiglia tirava innanzi alla meglio con la rendita d’una fattoria, l’unica che fosse restata loro e piena d’ipoteche. Per fortuna c’era il rincalzo dei novemila franchi che il conte aveva come ispettore generale degli stalloni. E le signore, madre e figlia, tenute a secco da costui, che fuori aveva sempre, purtroppo, delle passioncelle, qualche volta erano ridotte a rifarsi da sé i vestiti.

— Ma allora perché la pigli?

— Dio buono! o prima o poi, tanto bisogna venirci! — disse il Vallagnosc, battendo con un moto stanco le palpebre. — E poi, delle speranze ce ne sono; aspettiamo che una zia si risolva ad andarsene.

Il Mouret, che non levava gli occhi dal De Boves seduto accanto alla signora Guibal tutto premuroso, col sorriso d’un uomo che comincia a fare la corte, si volse in quel mentre all’amico e strizzò l’occhio con un moto tanto espressivo, che questi aggiunse:

— No, non è lei... almeno per ora... La disgrazia è che i doveri dell’impiego lo fan correre in lungo e in largo tutta la Francia, e che cosí ha dei pretesti continui per andarsene. Il mese scorso, mentre la moglie credeva che fosse a Perpignano, lui se ne stava in un albergo con una maestra di pianoforte, in fondo a un quartiere fuor di mano.

Si chetarono. Poi il Vallagnosc, che a sua volta sorvegliava le galanterie del conte per la signora Guibal, riprese sommessamente:


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