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(4385-4386-4387) pensieri 325

le alterazioni della pronunzia? Ma si rimutano senza che mai lascino, non pure le forme delineate, come ne’ vocaboli scritti, ma né una lontana reminiscenza. Or chi mai fra’ posteri potrà rintracciarle se non con l’orecchio? e dove le troverà egli?  (4386) Ridomandandole all’aria, che se le porta? o al tempo che torna a ingombrare l’orecchio di nuovi suoni? Allagheri, com’ei scrivevalo, e poscia Aligieri, Alleghieri, Allighieri, era lungo o breve nella penultima? or è Alighieri; ma in Verona s’è fatto sdrucciolo, Aligeri. Certo se gli arcavoli risuscitassero in qualunque città penerebbero ad intendere i loro nepoti.

§ 203 ed ultimo. Ma perciò che i fiorentini di padre in figlio continuarono a ingoiare vocali o rincalzarle raddoppiando consonanti, l’Accademia ideò che quel vezzo fosse nato a un parto co’ loro vocaboli (Avvertimenti della Lingua, vol. II, p. 129-160; ed. milanese de’ Classici, nota). Pur è sempre accidente piú tardo; anzi comune ed inevitabile a ogni lingua parlata: e tutti i popoli con l’andare degli anni per affrettare e battere la pronunzia scemano modulazioni, perché sono molli e piú lunghe; e le articolazioni riescono vibrate insieme e spedite. De’ greci è detto; e piú numero tuttavia di vocali scrivono gli inglesi, e pare che parlino quasi non avessero che alfabeto di consonanti: ma chi ne’ loro poeti antichi leggesse all’uso moderno, non troverebbe versi né rime. Né credo che altri possa additare poesia di gente veruna ove i fondatori della lingua scritta non si siano dilettati di melodia; e che non vi dominassero le vocali; e che poi non si diminuissero digradando. Anche nella prosodia latina, che era meno primitiva e tolta di pianta da’ greci, e in idioma piú forte di consonanti finali, regge l’osservazione; ed anche nelle reliquie di Ennio pochissime, pur le battute de’ ventiquattro tempi dell’esametro  (4387) su le vocali per via d’iato sono moltissime; e spesse in Lucilio; e parecchie in Lu-