Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
(4326-4327) | pensieri | 271 |
possano credere interpolati appostatamente da’ diaschenasti per mettere de la liaison tra i canti di Omero.
Le ripetizioni, le cose inutili, le contraddizioni, oltre che a niuno potrebbero far meraviglia in poemi fatti, com’io dico, senza intenzione e senza piano, non annunziano che l’infanzia dell’arte, e non possono parere obbiezioni valevoli, anzi appena obbiezioni, a chi ha pratica e familiarità cogli scrittori antichi; dico assai meno antichi, assai piú artifiziosi e dotti che non fu Omero; dico non solo poeti, ma prosatori. Quanto, e come spesso, debbono sudar gli eruditi commentatori per conciliare e por d’accordo seco stesso, per esempio, qualche antico storico, la cui opera fu certamente scritta, e con piano e con materiali di fatti scritti da altri, o conservati da tradizione! Vedi p. 4330.
L’infanzia dell’arte in Omero, è annunziata ancora, per esempio, dalla sterile soprabbondanza degli epiteti, usati fuor di luogo, senza causa o proposito, e spessissimo, com’è noto, a sproposito. Lo stesso per l’appunto fanno i fanciulli quando scrivono i loro esercizi di rettorica: essi non sono mai semplici, anzi piú lontani che alcun altro dalla semplicità. Cosí la maniera di Omero ha una certa naturalezza, ma non semplicità. Quella era effetto del tempo, non dell’autore: i fanciulli non l’hanno, perché hanno letto, hanno che imitare, ed imitano. Ma la semplicità, come ho detto e sviluppato altrove, è sempre effetto dell’arte; sempre opera dell’autore e non del tempo. Chi scrive senz’arte, non è semplice. Omero anzi cercava tutt’altro che il semplice, cercava l’ornato, e quella sua naturalezza che noi sentiamo, fu contro sua voglia. I poeti greci posteriori hanno abbondanza di epiteti per imitazione di Omero: i piú antichi però ne hanno meno, e piú a proposito.1 (4327)