glio 1826). Gli antichi però avevano ragione, perché essi non conversavano insieme a tavola, se non dopo mangiato, e nel tempo del simposio propriamente detto, cioè della comessazione, ossia di una compotazione, usata da loro dopo il mangiare, come oggi dagl’inglesi, e accompagnata al piú da uno spilluzzicare di qualche poco di cibo per destar la voglia del bere. Quello è il tempo in cui si avrebbe piú allegria, piú brio, piú spirito, piú buon umore, e piú voglia di conversare e di ciarlare.1 Ma nel tempo delle vivande tacevano, o parlavano assai poco. Noi abbiamo dismesso l’uso naturalissimo e allegrissimo della compotazione, e parliamo mangiando. Ora io non posso mettermi nella testa che quell’unica ora (4184) del giorno in cui si ha la bocca impedita, in cui gli organi esteriori della favella hanno un’altra occupazione (occupazione interessantissima, e la quale importa moltissimo che sia fatta bene, perché dalla buona digestione dipende in massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e morale dell’uomo, e la digestione non può esser buona se non è ben cominciata nella bocca, secondo il noto proverbio o aforismo medico), abbia da esser quell’ora appunto in cui piú che mai si debba favellare; giacché molti si trovano, che dando allo studio o al ritiro per qualunque causa tutto il resto del giorno, non conversano che a tavola, e sarebbero bien fachés di trovarsi soli e di tacere in quell’ora. Ma io che ho a cuore la buona digestione, non credo di essere inumano se in quell’ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo. Tanto piú che voglio potere smaltire il mio cibo in bocca secondo il mio bisogno, e non secondo quello degli altri, che spesso divorano e non fanno altro che imboccare e ingoiare. Del che se il loro stomaco si contenta, non segue che il mio se ne
- ↑ Cosí appunto la pensavano gli antichi. Vedi Casaub. ib. l. VIII, c. 14. init.