Siccome eziandio tra gli scrittori aurei, i piú antichi e i piú familiari, semplici e rimessi di stile, piú conservano dell’antico latino, piú rappresentano della frase volgare e parlata, piú hanno delle voci e locuzioni, e delle significazioni ed usi di voci conformi ai volgari. Cosí Cornelio, Fedro, Celso ec., piú somigliano quella degli scrittori bassi e de’ volgari moderni. I piú antichi (coi quali vanno quelli che piú si tennero all’antico per loro instituto, come Varrone, Frontone ec.), perché il linguaggio illustre e scritto non era ancor ben formato e determinato, né molto né ben distinto dal parlato e familiare. I piú semplici e rimessi perché o per istituto o per un poco meno di abilità nello scrivere e minore studio fatto della lingua, o minor diligenza posta nel comporre, non vollero o non seppero troppo scostarsi dal linguaggio piú noto e succhiato da loro col latte, cioè dal familiare e parlato. Onde a noi (3628) paiono amabilissimi e pregevolissimi per la loro semplicità ec., ma certo a’ contemporanei dovettero riuscire poco cólti. Osservo infatti che fra gli scrittori dell’aureo secolo quelli che fra noi tengono le prime lodi per la semplicità e dello stile e della lingua (la quale in loro è sempre notabilmente affine alla frase italiana e moderna, ed anche a quella de’ tempi bassi), o non si trovano pur nominati dagli antichi, o appena, o in modo che la loro stima si vede essere stata come di autori, al piú, di second’ordine. Tali sono Cornelio Nepote, Celso, Fedro, giudicato dal Le Fevre il piú vicino alla semplicità di Terenzio (vedi Desbillons, Disputat. II, de Phaedro, in fine) e simili. De’ quali gli stessi moderni, vedendo la diversità della loro frase da quella degli altri aurei, e giudicandola non latina (perché non molto illustre) hanno disputato se appartenessero al secol d’oro, ed anche se fossero antichi ed hanno penato a riconoscerli per autori dell’aurea latinità, e le Vite di Cornelio sono state attribuite ad Emilio Probo (autore