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452 pensieri (4073-4074)

Ver. Hist., l. 1o; Opera, 1687, t. I, p. 649. ῥαφανίδας ὑπερμεγέθεις. È notabile che noi che abbiamo preso dal latino rafano, e piú volgarmente, benché corrottamente ravano, l’abbiamo anche come gli attici diminuito e positivato, facendone ravanello, che vale in tutto lo stesso che le due voci suddette, ed è molto piú comune di ambedue loro, anzi ormai il solo in uso, almeno nel dir familiare e parlato. Vedi gli spagnuoli e i francesi (19 aprile 1824).  (4074)


*   Alla p. 4043. Qualunque poesia o scrittura, o qualunque parte di esse esprime o collo stile o co’ sentimenti il piacere e la voluttà, esprime ancora o collo stile o co’ sentimenti formali o con ambedue un abbandono, una noncuranza, una negligenza, una specie di dimenticanza d’ogni cosa. E generalmente non v’ha altro mezzo che questo ad esprimere la voluttà! Tant’è, il piacere non è che un abbandono e un oblio della vita, e una specie di sonno e di morte. Il piacere è piuttosto una privazione o una depressione di sentimento che un sentimento, e molto meno un sentimento vivo. Egli è quasi un’imitazione della insensibilità e della morte, un accostarsi piú che si possa allo stato contrario alla vita ed alla privazione di essa, perché la vita per sua natura è dolore. Onde è piacevole l’esserne privato in quanta parte si può, senza dolore e senz’altro patimento che nasca o sia annesso a questa privazione. Quindi il piacere non è veramente piacere, non ha qualità positiva, non essendo che privazione, anzi diminuzione semplice del dispiacere che è il suo contrario. Tali almeno sono i maggiori e piú veraci piaceri. I piaceri vivi sono anche manco piaceri. Sempre portano seco qualche pena, qualche sensazione incomoda, qualche turbamento, e ciò annesso, cagionato e dipendente essenzialmente da loro (19 aprile, lunedí di Pasqua, 1824). Dunque la vita è un male e un di-