Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
(3801-3802-3803) | pensieri | 189 |
quella ch’è necessaria alla propagazione della specie ec., e credo nessuna o imperfettissima lingua, anzi linguaggio, sono selvaggi e non sono barbari, cioè non fanno nulla contro natura (almeno per costume), né verso se stessi, né verso i lor simili, né verso checchessia. Non è dunque la natura, ma la società stretta la qual fa che tutti gli altri selvaggi sieno o non (3802) sieno stati di vita e d’indole cosí contrari alla natura. La scambievole comunione, voglio dire una società stretta, non può menomamente incominciare in un pugno d’uomini, che ciascheduno di questi non ne divenga subito, non che lontano e diverso, come siam noi, ma contrario dirittamente alla natura. Tanto la società stretta fra gli uomini è secondo natura.
Non è dubbio che l’uomo civile è piú vicino alla natura che l’uomo selvaggio e sociale. Che vuol dir questo? La società è corruzione. In processo di tempo e di circostanze e di lumi l’uomo cerca di ravvicinarsi a quella natura onde s’è allontanato, e certo non per altra forza e via che della società. Quindi la civiltà è un ravvicinamento alla natura. Or questo non prova che lo stato assolutamente primitivo ed anteriore alla società, ch’è l’unica causa di quella corruzione dell’uomo, a cui la civiltà procura per natura sua di rimediare, è il solo naturale e quindi vero, perfetto, felice e proprio dell’uomo? Come mai quello stato ch’è prodotto dal rimedio si dee, non solo comparare, ma preferire a quello ch’è anteriore alla malattia? Il quale già nel nostro caso, voglio dir lo stato veramente primitivo e naturale, non è mai piú ricuperabile all’uomo una volta corrotto (non da altro che dalla società), e lo stato civile (socialissimo anch’esso, anzi sommamente sociale) n’è ben diverso. Bensí egli è preferibile al corrotto stato selvaggio: questa preferenza è ben ragionevole, e segue ed è secondo il nostro e il sano discorso: ma non al vero primitivo ec. ec. Vedi p. 3932. (3803)